La vicenda, ormai famosissima, narra di Forrest (mirabilmente interpretato da Tom Hanks), un ragazzo "diverso", un ragazzo un po' indietro, e dei personaggi che ruotano intorno alle sue vicissitudini. Gran parte del film è un lungo flash-back sulla sua vita, che nasce dal racconto del protagonista ai malcapitati sconosciuti che via via si susseguono sulla panchina della fermata di un autobus. Come un perfetto cantastorie Forrest ci fa appassionare alle sue avventure, ci getta addosso le gioie e i dolori, i risultati e le figuracce di una vita che noi osserviamo in immagini di cruda realtà, ma che egli ci narra sempre con lo stesso tono innocente ed ingenuo. Circa quarant'anni di storia americana ci passano davanti attraverso i suoi occhi e le sue esperienze; è lui stesso che, inaspettatamente, attraversa alcune tappe principali ed è presente, in un modo o nell'altro, in particolari eventi, conoscendo personaggi che sono stati protagonisti della storia. Così Forrest conosce un Elvis non ancora famoso, John Lennon, presidenti degli Stati Uniti e governatori, partecipa alla Guerra del Vietnam e addirittura intercetta involontariamente lo scandalo Water gate. Pur apparendoci portatore di un certo handicap mentale, ma, in un certo senso, forse proprio grazie ad esso, egli partecipa a tutti questi fatti e raggiunge traguardi che tutti gli altri non riescono a raggiungere o ai quali non provano nemmeno ad arrivare. Il suo impegno estremo, il suo senso del dovere, la passione e la costanza che mette in tutto ciò che fa, un puro ottimismo e un'ingenua fiducia negli altri, lo conducono a spezzare l'imbracatura alle gambe che gli sorregge la schiena da bambino e a diventare un campione di football, a divenire un soldato modello e un eroe di guerra, ad entrare nel commercio dei gamberi per una promessa fatta ad un amico ormai defunto e a ritrovarsi miliardario, a correre per due anni e mezzo attraverso gli Stati Uniti diventando per alcuni una sorta di messia... Ci sembra che venga in qualche modo smentita l'idea che per riuscire nella vita e guadagnare certi risultati si debba essere superiori alla media per capacità psico-fisiche o pronti a tutto, senza scrupoli, particolarmente furbi e approfittatori; Forrest realizza cose straordinarie senza malizia e quasi per caso, senza rendersi conto di ciò che ha fatto ed ha ottenuto. Siamo di fronte ad una sorta di eroe moderno, che può ricordare per certi versi il Principe Myskin, protagonista de L'idiota di Dostoevskij: un individuo assolutamente e genuinamente buono e puro, che pertanto, in un mondo che segue altre regole come il nostro, viene percepito dagli altri come un idiota. Viene da domandarsi a questo punto con quali canoni si possa etichettare la normalità e l'idiozia, se poi un "idiota" riesce ad arrivare dove coloro che lo reputano tale si perdono. Forse la miglior risposta è quella che dà il nostro eroe: "Stupido è chi lo stupido fa" e certo Forrest non si comporta mai davvero da stupido.
Le figure che risultano veramente negative nella storia si possono contare sulla punta delle dita e sono tutte marginali; chi certo non risulta uno "stinco di santo", si fa beffe e prova compassione per "l'idiota", si scontra inevitabilmente poi con la crudele realtà della vita, cade o si perde. Sembra che solo attraverso la vicinanza di Forrest, come se egli fosse una sorta di Cristo redentore, alcuni personaggi riescano a trovare infine una loro serenità, seppur nelle disgrazie in cui sono incappati. Mi riferisco per esempio a Jenny, la donna da sempre amata dal protagonista, che trova finalmente requie alla sua inquietudine esistenziale nel matrimonio con Forrest e nel figlio concepito con lui, benché sia destinata a morire di "una specie di virus" (si intuisce la sciagura dell'AIDS, probabilmente contratta nelle sue peripezie). Un altro esempio di questo tipo è il Tenente Dan, desideroso di morire sul campo di battaglia in Vietnam con i suoi uomini e condannato invece (in un certo senso dal protagonista stesso) ad essere uno storpio sulla sedia a rotelle, semi-alcolizzato, ma che alla fine "fa pace con Dio" ed è contento di aver avuto salva la vita.
Nell'atmosfera a tratti tragicomica del film, il finale ci riporta un po' al principio, in una sorta di struttura circolare: Forrest accompagna il figlio (che ha il suo stesso nome) a prendere lo stesso pulmino scolastico che prendeva lui da bambino e rimane seduto alla fermata, come nella scena iniziale, mentre vola via la piuma che aveva raccolto ai suoi piedi prima che il suo racconto cominciasse. Nella struggente colonna sonora dei titoli di coda si rimane con in bocca un sapore dolce-amaro: la consapevolezza di aver visto un bel film e di aver fatto propria una bella storia e la malinconia che Forrest, di cui si finisce per innamorarsi involontariamente, faccia parte di un mondo irreale, che non è mai davvero esistito. E' questa sorta di dolce malinconia, di sorridente mestizia che fa di "Forrest Gump" uno dei migliori film degli ultimi 20 anni.
Raissa Biancalani
membro di Essi Girano